Nessun contribuente vorrebbe mai essere sottoposto ad accertamento basato sulle indagini finanziarie, sia perché nessuno vorrebbe gli occhi del Fisco puntati sui propri conti sia perché in questo metodo di controllo vige l’inversione dell’onere della prova.
Tramite le indagini finanziarie, infatti, il Fisco riesce a raccogliere informazioni di un’estensione assolutamente rilevante che riguardano non solo i movimenti sui conti correnti, ma anche le garanzie, le operazioni fuori conto, le cassette di sicurezza, i movimenti delle carte di credito, la domiciliazione delle utenze, ecc. Tali informazioni vengono raccolte se sussistono indizi di irregolarità ricavabili dall’anagrafe tributaria, una banca dati in cui gli istituti di credito sono tenuti a fornire ogni notizia riguardante i rapporti intrattenuti coi propri clienti.
All’esito delle indagini, i dati e gli elementi attinenti ai rapporti e alle operazioni acquisiti e rilevanti possono essere utilizzati in sede di accertamento. In tal caso, si parla di accertamento c.d. “bancario” che, ai sensi dell’articolo 32, comma 1, n. 2 del D.P.R. n. 600/1973, consiste nell’utilizzo delle risultanze delle indagini finanziarie per rideterminare il reddito imponibile, a meno che il contribuente non dimostra di averne tenuto conto o che non hanno rilevanza allo stesso fine. Analogamente, sono considerati ricavi o compensi i prelievi o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti e operazioni, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempre che non risultino dalle scritture contabili.
L’articolo in esame introduce una presunzione legale relativa che impone al contribuente di fornire la prova contraria di tutti i rapporti e operazioni, compresi i prelevamenti, eseguiti sui conti. Tale prova consiste nell’analitica dimostrazione dell’irrilevanza di ciascuna singola operazione, non potendo risultare sufficiente l’ausilio di strumenti probatori generici. Questo è l’orientamento della Corte di Cassazione, la quale ritiene che nell’accertamento “bancario” l’onere probatorio del Fisco è soddisfatto con la semplice acquisizione dei dati e degli elementi risultanti dai conti accertati, mentre spetta al contribuente dimostrare che i medesimi non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo la prova analitica dell’indicazione specifica della riferibilità di ciascun movimento bancario. Così, ad esempio, costituisce prova generica per l’amministratore di condominio affermare di aver utilizzato il proprio conto corrente bancario per ricevere i versamenti dei condomini ed aver poi utilizzato tali somme per pagare le spese inerenti al condominio stesso.