Il 26 marzo scorso è entrato in vigore il Decreto Legge 25 marzo 2019, n. 22 (c.d. “Decreto Brexit”), che ha introdotto tutta una serie di disposizioni che hanno come obiettivo quello di tutelare la sicurezza, la stabilità finanziaria e l’integrità dei mercati, nonché la libertà di soggiorno dei cittadini italiani e di quelli del Regno Unito, con evidenti riflessi sulla posizione fiscale delle persone fisiche.
È noto infatti che, ai sensi dell’articolo 2, D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986 (c.d. “TUIR“), soggetti passivi d’imposta sono le persone fisiche, residenti e non nel territorio dello Stato. Si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni, 184 se anno bisestile) sono iscritte nell’anagrafe della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o vi hanno stabilito la propria residenza.
Per contrastare il fenomeno della residenza fittizia all’estero delle persone fisiche, si presumono residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dall’anagrafe della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori a fiscalità privilegiata. Il contribuente può superare la presunzione legale fornendo al Fisco la prova contraria mediante qualsiasi mezzo di natura documentale o idoneo allo scopo.
Sul tema del rapporto tra le disposizioni in materia di residenza fiscale e quelle di cui al Decreto Brexit, è di recente intervenuta l’Agenzia delle Entrate con risposta all’interpello n. 270 del 18 luglio 2019 presentato da un soggetto trasferitosi in Gran Bretagna che nel 19 gennaio 2018 aveva presentato al Consolato Generale d’Italia a Londra la richiesta d’iscrizione all’AIRE – Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero.
L’istante, in particolare, ha chiesto di poter essere considerato fiscalmente residente nel Regno Unito già dal 2018 poiché, ai sensi dell’articolo 16, comma 3, D.L. n. 22 del 25 marzo 2019 (c.d. “Decreto Brexit”), che ha aggiunto il comma 9-bis all’articolo 6, L. n. 470 del 27 ottobre 1988, gli effetti della dichiarazione relativa al trasferimento della residenza da un comune italiano all’estero, resa all’ufficio consolare competente, decorrono dalla data di presentazione della stessa, senza che rilevi la data di ricezione da parte dell’ufficiale dell’anagrafe.
L’Agenzia delle Entrate ha reso risposta negativa al quesito in quanto ha considerato l’istante formalmente iscritto all’AIRE solo dal 4 luglio 2018 (quindi non dal 19 gennaio 2018) e, di conseguenza, ha ritenuto di assoggettare a tassazione italiana tutti i redditi da quest’ultimo percepiti, ovunque prodotti, nel periodo d’imposta 2018.
L’Agenzia delle Entrate ha così concluso applicando l’ultimo periodo dell’art. 16, comma 3, D.L. 22/2019, ai sensi del quale le nuove disposizioni si applicano anche alle dichiarazioni presentate anteriormente alla data di entrata in vigore del Decreto Brexit, purché non ancora ricevute dall’ufficiale dell’anagrafe. In particolare, nel caso di specie, l’ufficiale dell’anagrafe aveva ricevuto la dichiarazione di trasferimento all’estero prima dell’entrata in vigore del Decreto Brexit.
Il contribuente è stato dunque identificato come soggetto fiscalmente residente nel nostro Paese per il periodo d’imposta 2018, sussistendo una delle tre condizioni previste dall’art. 2, comma 2, TUIR: iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta.