In attesa che intervenga in modo chiaro la legislazione, continuano i chiarimenti forniti dalla giurisprudenza in ordine all’assoggettamento a tassazione delle criptovalute.
In particolare, con sentenza n. 01077/2019, del 27/01/2020, il Tar Lazio ha ritenuto che le criptovalute “vanno dichiarate al Fisco“, precisando che esse, in genere, sono da considerarsi “redditi finanziari prodotti all’estero“.
La decisione trae origine dal ricorso promosso da alcune associazioni avverso la previsione dell’Agenzia delle Entrate, non fondata su alcuna norma di rango primario o secondario, di inserimento delle “valute virtuali” nell’ambito degli obblighi del c.d. “monitoraggio fiscale“, individuandone i detentori quali destinatari degli adempimenti di cui al D.L. 167/1990.
Tale previsione è contenuta nelle “istruzioni per la compilazione del modello 2019 per la dichiarazione dei redditi delle persone fisiche”, che, al rigo 14 del quadro RW (relativo agli “investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria”), esplicitamente impone di indicare anche “le altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali”.
L’Agenzia delle Entrate aveva già assunto una simile posizione nell’interpello 956-39 del 2018, con il quale aveva sostenuto che le criptovalute dovevano essere oggetto di comunicazione attraverso l’indicazione nel quadro RW della dichiarazione; in tal modo recependo quanto avvertito anche in dottrina, che aveva evidenziato che la modifica al D.Lgs. 231/2007, operata dal D.Lgs. 90/2017 (che ha inserito gli operatori “non finanziari” nel novero dei soggetti obbligati al monitoraggio, individuando tra questi anche “i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale”), aveva comportato di fatto l’inserimento nel quadro RW delle “valute virtuali”.
Con la pronuncia di rigetto, i giudici del TAR Lazio hanno innanzitutto specificato che “gli atti con i quali, nell’approvare le istruzioni per la compilazione del Modello Unico Persone Fisiche 2019, si indicano come da inserire nel quadro RW, tra i redditi finanziari di provenienza estera, anche le valute virtuali, non hanno natura costitutiva della corrispondente obbligazione tributaria, ma sono meramente ricognitivi di obblighi dichiarativi già esistenti, come definiti ai sensi degli artt. 1 e 4, D.L. 167/1990, convertito in L. 227/1990, modificati dal D.Lgs. 90/2017, e nei relativi limiti“.
In tal senso è stata ritenuta dal TAR dirimente la circostanza che la modifica del D.L. 167/1990, operata per il tramite del D.Lgs. 90/2017, ha esplicitamente inserito l’utilizzo delle “monete virtuali” tra le operazioni relative ai trasferimenti da e per l’estero, rilevanti ai fini del relativo monitoraggio ex art. 1 D.L. 167/1990. In sostanza, l’art. 1 citato opera sotto un duplice profilo, oggettivo e soggettivo: sotto il profilo oggettivo, assoggetta espressamente al monitoraggio sia l’utilizzo delle valute virtuali, che l’utilizzo di “mezzi di pagamento”, in genere; sotto il profilo soggettivo, ai suddetti obblighi di monitoraggio sono tenuti, inoltre, sia gli operatori finanziari che gli operatori non finanziari.
È stata dunque giudicata infondata l’argomentazione di parte ricorrente secondo la quale le valute virtuali non dovrebbero essere dichiarate nel quadro RW perché non espressamente elencate nell’art. 4. La nozione di investimenti esteri, valevole ai fini del monitoraggio, è definita all’art. 1 del citato D.L., che concorre a definire la nozione degli “investimenti all’estero” e di “attività estere di natura finanziaria”, includendo in esse anche investimenti ed attività mediante impiego di valute virtuali.
Infondata anche l’argomentazione secondo la quale i prestatori di servizi attinenti la moneta virtuale non sono operatori finanziari, posto che l’art. 1 citato assoggetta agli obblighi di monitoraggio sia gli operatori finanziari che quelli non finanziari.
Irrilevante infine è la tesi secondo cui le monete virtuali sarebbero “mezzi di pagamento” (e non valute), perché la disposizione di cui all’art. 1 citato è relativa alle operazioni compiute sia con valute virtuali sia con mezzi di pagamento in quanto tali.
Di poi il TAR ha precisato che “il trattamento fiscale dell’utilizzo delle criptovalute opera in forza della natura delle operazioni poste in essere mediante detti valori (oltre che, naturalmente, in base alla natura dei soggetti utilizzatori e delle relative attività, imprenditoriali o meno), laddove (e nella misura in cui) detto utilizzo generi materia imponibile“.
Da ultimo concluso ritenendo che “non possono essere dedotte in sede di giurisdizione generale di legittimità censure attinenti i concreti presupposti e limiti della tassazione dell’utilizzo delle criptovalute ex art. 67 TUIR e della indicazione della moneta elettronica nel quadro RW del Modello Unico 2019, in quanto tali doglianze attengono alla attuazione del rapporto di imposta e vanno dedotte nel relativo ambito“.