Come noto, l’art. 65, D.L. 18/2020 (c.d. decreto “Cura Italia“), “Al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, ai soggetti esercenti attività d’impresa“, riconosce,”per l’anno 2020, un credito d’imposta nella misura del 60% dell’ammontare del canone di locazione“, relativo al solo “mese di marzo 2020” (è auspicabile il rinnovo anche per il mese di aprile e maggio) e limitatamente agli “immobili rientranti nella categoria catastale C/1“.
Inoltre, il comma 2, dell’articolo in esame, circoscrive ulteriormente il credito d’imposta, escludendo le attività di cui agli allegati 1 (commercio al dettaglio) e 2 (servizi per la persona) del D.P.C.M. 11.03.2020.
Di queste attività, meglio specificate nei citati allegati, diverse, seppur autorizzate ai sensi del D.P.C.M., hanno dovuto di fatto chiudere, perché non adeguatamente strutturate per garantire il rispetto delle norme di prevenzione al contagio da Covid-19 oppure costrette in forza di diversi atti normativi (si pensi ad attività quali il commercio al dettaglio di articoli di profumeria, prodotti per ottica e fotografia, alle ferramenta). Altre, invece, seppur aperte, hanno registrato la riduzione o totale assenza di clientela.
Come se non bastasse, con Circolare n. 8/E del 3 aprile 2020, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che “Ancorché la disposizione si riferisca, genericamente, al 60% dell’ammontare del canone di locazione, la stessa ha la finalità di ristorare il soggetto dal costo sostenuto costituito dal predetto canone, sicché in coerenza con tale finalità il predetto credito maturerà a seguito dell’avvenuto pagamento del canone medesimo”. Pertanto, il credito d’imposta spetta solo a chi è effettivamente in grado di pagare l’affitto, come peraltro lascerebbe intendere la relazione tecnica al D.L. 18/2020.
La vicenda ha suscitato non poche perplessità sulla valenza della norma, che non sembra concepita in base a ciò che sta accadendo concretamente nella realtà e appare perfino irragionevole e incoerente con il principio di uguaglianza tributaria ex artt. 3 e 53 della Costituzione.
Nonostante ciò, in sede di conversione in legge del decreto “Cura Italia“, attuata con L. 27/2020, la norma è rimasta sostanzialmente invariata, salvo (per quanto rileva ai fini del presente scritto) l’introduzione del comma 2-bis, ai sensi del quale il credito d’imposta “non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive e non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917“.