Immaginiamo un’auto che viaggi rispettando i limiti di velocità e, a un’intersezione tra la strada percorsa e una diversa, investa con un altro veicolo proveniente da quest’ultima.
Chi dei due conducenti ha ragione?
In questo caso potrebbe sussistere il concorso di colpa nella produzione dei danni causati dal sinistro stradale perché il conducente che rispetta il limite di velocità potrebbe non aver osservato l’obbligo di ulteriormente ridurla in vista dell’approssimarsi dell’intersezione.
Ai sensi dell’art. 141, Codice della Strada, infatti, è obbligatorio regolare la velocità del proprio veicoli in modo che, avuto riguardo “alle caratteristiche e alle condizioni della strada“, come anche “ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura“, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose.
E, ai sensi dell’art. 2054 c.c., nel caso di scontro tra veicoli “si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito“.
Ciò posto, però, in ordine al riconoscimento della responsabilità concorsuale del conducente che rispetti i limiti di velocità, il giudice non può limitarsi all’astratto richiamo dei dettami normativi, come anche dei principi di diritto al riguardo stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, bensì è tenuto a indicare le “specifiche ragioni di fatto” che avrebbero in concreto giustificato l’adozione della condotta prudenziale prevista dall’art. 141, Codice della Strada.
In particolare, la Cassazione Civile, con la recente sentenza n. 9857 del 28 marzo 2022, ha affermato che il giudice di merito “deve ritenersi vincolato, ai fini della congruità logica della motivazione, all’integrazione delle proprie argomentazioni attraverso la specifica indicazione delle ragioni di fatto che, in concreto, avrebbero giustificato l’assunzione di tale ulteriori esigenza prudenziale, non potendo limitarsi (come invece avvenuto nel caso di specie) a un richiamo meramente astratto di quelle ragioni (un’intersezione, una curva, un generico difetto di visibilità) non (adeguatamente) riscontrate, sul piano del fatto (e, dunque in termini probatori), alla luce delle specifiche caratteristiche del luogo effettivamente in esame“.