Ai sensi dell’art. 10-bis, Legge n. 212/2000 (c.d. “Statuto dei diritti del contribuente“), configurano abuso del diritto (o elusione di imposta) una o più operazioni che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, sono prive di sostanza economica e consentono al contribuente che ne fa uso di realizzare un vantaggio fiscale indebito. Nello specifico, un’operazione è priva di sostanza economica se i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, sono inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali.
L’abuso del diritto è escluso in presenza di operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, anche di ordine organizzativo o gestionale, finalizzate al miglioramento strutturale e/o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale del contribuente. Tra queste sono ricomprese, a titolo esemplificativo, il ricambio generazionale, gli interventi finalizzati a migliorare il conseguimento dell’oggetto sociale e a ottimizzare la gestione, e la gestione separata dei rami di azienda.
L’onere della prova dell’abuso del diritto (o del disegno elusivo) grava sull’Amministrazione Finanziaria, mentre il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza di valide ragioni economiche che giustifichino l’operazione che in una logica di mercato appare prima facie irragionevole.
A tal proposito, la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, ha di recente giudicato non abusiva la vendita infragruppo sottocosto di pacchetti azionari, accogliendo il ricorso presentato da una società partecipata che, per incassare liquidità, aveva ceduto alla controllante alcune azioni a un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato.
La società aveva prodotto documentazione, non valutata dalla Commissione Tributaria Regionale, probante una drastica riduzione degli utili, tale da imporre un mutamento del business del gruppo e nuovi investimenti, possibili solo tramite l’acquisizione di liquidità attraverso la vendita della partecipazione societaria, sia pure a prezzo ridotto.